Futurismo e Astrattismo a Confronto

Il Futurismo e l’ Astrattismo sono due movimenti artistici molto originali. Quali sono gli ideali descritti sulla tela da preferire? La velocità futurista o il lirismo astratto? Il futurismo italiano o la Russia astratta di Kandinskij? Gli spenti colori futuristi o i colori accesi astratti? Il dinamismo o la musica? Il caos o la serenità? La rivoluzione o la calma? Il passato o il futuro? Forme dinamiche o forme statiche?

L’ astrattismo

Forme e colori

L’ Astrattismo è un movimento artistico che nasce nei primi anni del XX secolo, in Europa. Il termine indica quelle opere pittoriche che esulano dalla rappresentazione oggettiva della vita reale.
L’ arte occidentale è stata, dal Rinascimento fino al XIX secolo, segnata dalla logica della prospettiva e dal tentativo di riprodurre un’ illusione della realtà visibile. Alla fine del XIX secolo molti artisti sentirono il bisogno di creare un nuovo tipo di arte che includesse i cambiamenti fondamentali riguardo a tecnologia, scienze e filosofia. Le fonti da cui gli artisti estraevano i loro argomenti teorici erano vari. I dipinti riflettono le ansie sociali e intellettuali in tutte le culture occidentali del tempo.

Siamo in periodo di piena industrializzazione. Contemporaneamente, gli stati europei si lanciano nella colonizzazione di paesi africani e asiatici.

L’ ARTE ASTRATTA

L’ astrattismo nasce dalla scelta degli artisti di negare la rappresentazione della realtà. Gli artisti esaltano i propri sentimenti attraverso forme, linee e colori. Punto di riferimento fondamentale è il testo di W. Worringer “Astrazione ed empatia”, del 1907. In questo testo l’ arte viene interpretata in base all’ intenzionalità dell’ artista. Con il termine “astrattismo” vengono, quindi, indicate tutte le forme di espressione artistica visuale non figurative. Non vi sono appigli che consentano di ricondurre l’ immagine dipinta ad una qualsiasi rappresentazione della realtà. Tuttavia in alcune accezioni con “astrattismo” si intende (in senso restrittivo) solamente la ricerca della forma pura per tramite di colori e forme geometriche, come nelle opere di V. Kandinskij e Piet Mondrian.

L’ astrattismo lirico

Secondo V. Kandinskij il colore è un profumo, un suono, esprime un’ emozione. Quindi il rosso, ad esempio, risveglia in noi l’ emozione del dolore, non solo per un’ associazione di idee (rosso-sangue-dolore), ma per le sue proprie caratteristiche, per il suo “suono interiore”. Kandinskij utilizza una metafora musicale per spiegare quest’ effetto: il colore è il tasto, l’ occhio è il martelletto, l’ anima è un pianoforte con molte corde. Il colore può essere caldo o freddo, chiaro o scuro. Questi quattro “suoni” principali possono essere combinati tra loro: caldo-chiaro, caldo-scuro, freddo-chiaro, freddo-scuro. Il punto di riferimento per i colori caldi è il giallo, quello dei colori freddi è l’ azzurro.

Alle polarità caldo-freddo Kandinskij attribuisce un doppio movimento: uno “orizzontale” ed uno “radiante”. Il giallo è dotato di un movimento radiante che lo fa avanzare verso lo spettatore rispetto al piano in cui è fisicamente. Inoltre è dotato di un movimento eccentrico-centrifugo (la roteazione si allarga all’ esterno), abbaglia, respinge. L’ azzurro è dotato di un movimento orizzontale che lo fa indietreggiare dallo spettatore ed è dotato di un movimento concentrico perché si avvolge su sé stesso. Esso creando un effetto di immersione attira lo spettatore. Kandinskij, sempre in base alla teoria secondo la quale il movimento del colore è una vibrazione che tocca le corde dell’ interiorità, descrive i colori in base alle sensazioni e alle emozioni che suscitano nello spettatore, paragonandoli a strumenti musicali.

Kandinskij si occupa dei colori primari (giallo, blu, rosso) e poi dei colori secondari (arancione, verde, viola), ciascuno dei quali è frutto della mescolanza tra due primari. Analizzerà anche le proprietà di marrone, grigio, bianco e nero.

  • Il giallo è prorompente, di un’ irrazionalità cieca. Viene paragonato al suono di una tromba. Il giallo indica anche eccitazione quindi può essere accostato spesso al rosso ma si differenzia da quest’ ultimo.
  • L’ azzurro è il blu che tende ai toni più chiari, è indifferente, distante. Si può paragonare al suono di un flauto. Inoltre il blu scuro viene paragonato al suono di un organo. Il blu è il colore del cielo, è profondo. Quando è intenso suggerisce tranquillità, quando tende al nero è fortemente drammatico. Quando tende ai toni più chiari le sue qualità sono simili a quelle dell’ azzurro. In genere è associato al suono del violoncello.
  • Il rosso è vivace, irrequieto ma diverso dal giallo. L’ energia del rosso è consapevole, può essere canalizzata. Più è chiaro e tendente al giallo, più ha energia. Il rosso è profondo. Il rosso scuro è più meditativo. È paragonato al suono di una tuba (doppio flauto).
  • L’ arancione esprime energia, movimento. Si può paragonare al suono di una campana
  • Il verde è assoluta immobilità. Suggerisce freschezza. Se va verso il giallo acquista giocosità. Insieme al blu diventa meditativo. Nel verde è presente, seppur in minima parte l’ energia del giallo che lo fa variare verso tonalità più chiare facendogli recuperare vibrazione. In genere è associato al violino.
  • Il viola, come l’ arancione, è instabile. Il viola è formato dal rosso e dal blu. È paragonabile alla zampogna.
  • Il marrone si ottiene mescolando il nero con il rosso, ma essendo l’ energia di quest’ ultimo fortemente limitata, ne consegue un colore non dinamico.
  • Il grigio è statico. Nel grigio vi è un’ assoluta mancanza di movimento, sia se verso il bianco che verso il nero.
  • Il bianco è un colore acromatico. Interiormente lo sentiamo come un non-suono. Tuttavia è un silenzio, ricco di potenzialità. È la pausa tra una battuta e l’ altra di un’ esecuzione musicale, che prelude ad altri suoni.
  • Il nero è mancanza di luce, è un non-colore, è spento. È la pausa finale di un’ esecuzione musicale. Tuttavia a differenza del bianco fa risaltare qualsiasi colore.

La composizione pittorica è formata dal colore, che nonostante nella nostra mente sia senza limiti, nella realtà assume anche una forma. Colore e forma non possono esistere separatamente nella composizione. Se un colore viene associato alla sua forma privilegiata gli effetti e le emozioni che scaturiscono dai colori e dalla forma vengono potenziati. Il giallo ha un rapporto privilegiato con il triangolo, il blu con il cerchio e il rosso con il quadrato.

Molto importante è anche l’ orientamento delle forme sulla superficie pittorica, ad esempio, il quadrato su un lato è solido e statico. Su un vertice è instabile e gli si assocerà un rosso caldo, non uno freddo e meditativo azzurro. La composizione di un quadro non deve rispondere ad esigenze puramente estetiche ed esteriori. Deve, invece, essere coerente al principio di necessità interiore. Il bello non è più quel che risponde a canoni ordinari prestabiliti. Il bello è quel che risponde ad una necessità interiore.

«L’ artista deve cercare di modificare la situazione riconoscendo i doveri che ha verso l’ arte e verso se stesso, considerandosi non il padrone, ma il servitore di ideali precisi, grandi e sacri. Deve educarsi e raccogliersi nella sua anima, curandola e arricchendola in modo che essa diventi il manto del suo talento esteriore, e non sia una vuota e inutile apparenza. L’ artista deve avere qualcosa da dire, perché il suo compito non è quello di dominare la forma, ma di adattare la forma al contenuto.»
(Vasilij Kandinskij, Lo spirituale nell’ arte)

PUNTO, LINEA, SUPERFICIE

Kandinskij in questo saggio si dedica alla parte grafica che può esistere anche senza il colore. Il punto è il primo nucleo del significato di una composizione, nasce quando il pittore tocca la tela ed è statico. La linea è la traccia lasciata dal punto in movimento, per questo è dinamica. Può essere orizzontale, verticale, diagonale. Può essere spezzata, curva, mista. I singoli suoni possono essere mescolati tra loro. La linea curva esprime lirismo. La linea spezzata esprime drammaticità.

La superficie è il supporto materiale destinato a ricevere il contenuto dell’ opera, si tratta solitamente di una tela. L’ opera risulta dunque essere limitata da due linee orizzontali e due verticali, oppure da una linea curva.

ACCENTO IN ROSA

V. Kandinskij: “Accento in Rosa” 1926 olio su tela Musée National d’ Art Moderne (Parigi)

L’ artista esamina gli spazi geometrici fondendoli con i suoi studi sulla spiritualità nell’ arte. Il suo obiettivo primario è quello di porre in relazione e indurre a dialogare le forme geometriche con i colori astratti. Kandinskij vuole spaziare ed estendere tali regole, che lui stesso enuncia in tutte le combinazioni possibili fra forma e colore, fino a realizzare una grammatica completa delle forme geometriche.

L’ intento di Kandinskij è mostrare come le figure geometriche siano con i colori, dei simboli attraverso i quali l’ uomo può comprendere qualcosa sulla propria spiritualità. Possiamo osservare come il rettangolo, il quadrato e il cerchio si mettono in relazione con colori quali il rosso, il blu, il giallo, il nero, l’ azzurro, il verde, il rosa e il bianco.

Il quadro “Accento in rosa” rappresenta il limite del mondo pittorico di Kandinskij. La tela di forma rettangolare è il confine più esterno, ma all’ interno del quadro ci sono diverse realtà pittoriche. Vi sono un quadrilatero di colore giallo e un quadrato scuro. All’ interno di questi spazi si muovono, fluttuano, cerchi di varie dimensioni. Alcuni si addensano nel quadrato, altri si muovono nel quadrilatero e qualcuno si spinge fin quasi a toccare i bordi della tela.

I cerchi rappresentano, però, un fondamentale e concettuale punto di riferimento per l’ artista.

La teoria dei corpi astrali nasce da questi studi, ed è chiaro che i cerchi rappresentano la spiritualità degli individui e così i colori primari definiscono gli stati d’ animo.

ALCUNI CERCHI

V. Kandinskij: “Alcuni Cerchi” 1926 olio su tela The Solomon Guggenheim Museum (New York)

Kandinskij realizza uno studio sulle forme ed i colori e le loro relazioni. Nella tela a sfondo nero, le cui sfumature seguono armoniosamente le figure colorate. Inoltre si stagliano alcuni cerchi che sembrano fluttuare nel vuoto e che ricordano i pianeti che orbitano intorno al mondo. Secondo le leggi dell’ attrazione gravitazionale alcuni di essi sono più isolati rispetto ad altri che invece formano degli agglomerati più consistenti.

La sovrapposizione del cerchio blu, predominante sugli altri per grandezza, su un cerchio bianco sfumato nei contorni richiama le eclissi lunari.

Il cerchio nero interno a quello blu è richiamato da altri cerchi più piccoli dello stesso colore che costellano l’ intera opera.

I colori sono come trasparenti e il pittore mostra una straordinaria abilità nel rappresentare le variazioni tonali dei “cerchi-pianeti” che si sovrappongono e si eclissano a vicenda.

IMPROVVISAZIONE N° 26

V. Kandinskij: “Improvvisazione 26” 1912 olio su tela Stadtische Galerie in Lenbachhaus di Monaco

Questo dipinto fa parte di un gruppo di opere chiamate “Improvvisazione”, parola derivata dalle composizioni musicali. Dal dipinto n. 5 fino a quello n. 26, Kandinskij si pone il problema della luce e dello spazio in rapporto al colore e alle forme in movimento mantenendo questa costante dell’ astrazione assoluta.

Il quadro rappresenta una barca a remi astratta. Varie macchie di colore bruscamente interrotte da spesse linee nere in primo piano che tendono a dare un senso di movimento all’ opera. Le linee nere rappresentano, le corde di un violino. L’ elemento più importante è il colore. La macchia gialla e quella rossa, tendono ad essere più vicine allo spettatore. L’ azzurro si allontana e dà un senso di profondità. Quest’ ultimo vuole rappresentare la calma interiore dell’ uomo. Il giallo colpisce l’ osservatore perché è il colore più chiaro dell’ opera. Il rosso invece vuole rimanere impresso nell’ animo colpendo lo stato emotivo di chi lo osserva. Kandinskij quindi, con i colori che usa come suoni, vuole mettere “in vibrazione” l’animo dello spettatore, comunicandogli una serie di sensazioni psicologiche e forze spirituali in opposizione che sono rappresentate dai colori caldi e freddi.

COMPOSIZIONE VIII

V. Kandinskij: “Composizione VIII” 1923 olio su tela The Solomon Guggenheim Museum (New York)

L’ opera rappresenta forme geometriche elementari (cerchi, triangoli, quadrati, linee), disposte in maniera apparentemente casuale. Cerchi e linee rette sono le forme dominanti della composizione e contribuiscono a creare una struttura geometrica rigida, rafforzata anche da colori opachi utilizzati per lo sfondo. All’ interno del quadro è possibile riconoscere gli spartiti musicali ed un pianoforte colorato. Molto probabilmente i cerchi rappresentano gli astri che associati alla musica illuminano la scena. Risalta il cerchio viola, nero e rosso in alto a sinistra e al grande cuneo che taglia verticalmente il centro del dipinto. È impossibile stabilire quale sia il reale significato dell’ opera. Si tratta di una combinazione di segni geometrici, che devono comunicare all’ osservatore una “necessità interiore” dell’ artista, non esprimibile con parole o soggetti materiali.

L’ astrattismo geometrico

I quadri dell’ olandese Piet Mondrian dimostrano una complessità che smentisce la loro apparente semplicità. I quadri “non rappresentativi” per cui è conosciuto, che consistono in linee perpendicolari e campiture di colore geometriche in colori primari (rosso, giallo, blu) bianco, nero, sono in effetti il risultato di una continua ricerca di equilibrio e perfezione formale evoluta stilisticamente nel corso di tutta la sua vita.

LE IDEE DI MONDRIAN

«Costruisco combinazioni di linee e di colori su una superficie piatta, in modo da esprimere una bellezza generale con una somma coscienza. La natura mi ispira, mi mette, come ogni altro pittore, in uno stato emozionale che mi provoca un’ urgenza di fare qualcosa. Voglio arrivare più vicino possibile alla verità e astrarre ogni cosa da essa, fino a che non raggiungo le fondamenta. Credo sia possibile che, attraverso linee orizzontali e verticali costruite con coscienza, guidate da un’ alta intuizione, e portate all’ armonia e al ritmo, queste forme basilari di bellezza, aiutate se necessario da altre linee o curve, possano divenire opere d’ arte, così forti quanto vere».

TECNICA

Nei primi dipinti, le linee che delineano le forme rettangolari sono sottili. Tendono anche a sbiadire man mano che si avvicinano all’ orlo della tela. I quadrati, sono dipinti con i colori primari, e quasi tutti sono colorati. Solo alcuni sono stati lasciati bianchi.

Successivamente i quadri di Mondrian raggiungono una forma “matura”. Spesse linee nere ora separano i quadrati, che sono più grandi e meno numerosi, e che sono lasciati in maggior parte bianchi rispetto ai primi esempi.

Le linee nere sono gli elementi più piatti, con minore profondità. Le forme colorate hanno pennellate, tutte nella stessa direzione.

Gli anni passano e le linee cominciano a prendere la precedenza sulle zone di colore nei suoi dipinti. Mondrian inizia, quindi, ad usare linee ancor più sottili o doppie linee con maggior frequenza. Le doppie linee, lo entusiasmavano e stimolavano, perché credeva dessero ai suoi dipinti un nuovo dinamismo.

COMPOSIZIONE IN ROSSO BLU E GIALLO

P. Mondrian: “Composizione rosso, blu, giallo” 1930 olio su tela (New York)

COLORI PRIMARI PER UN RIGORE SPIRITUALE

“Composizione con rosso, giallo e blu” è un dipinto che appartiene al periodo più noto di Mondrian. All’ interno della superficie dipinta le righe spesse nere sono ortogonali tra loro e creano delle campiture rettangolari e quadrate.

I colori sono primari: giallo rosso e blu disposti secondo un ordine compositivo che ricerca l’ equilibrio formale e cromatico.

IL COLORE

Nel dipinto Mondrian utilizza solamente i colori primari, legati ad una precisa simbologia spirituale. Il giallo legato all’ energia solare, il rosso l’ unione tra luce e spazio, infine, il blu, simbolo di spiritualità.

LA COMPOSIZIONE

L’ equilibrio universale, secondo la teoria teosofica, ispira una vita corretta. Quindi, Mondrian crea composizioni molto equilibrate distribuendo in modo accorto le righe verticali e orizzontali per ottenere campiture dalla grandezza equilibrata dal punto di vista compositivo. Inoltre, distribuisce i colori variando la grandezza delle forme geometriche per creare un equilibrio di pesi nella composizione.

Broadway Boogie-Woogie

P. Mondrian: “Broadway Boogie-Woogie” 1944 olio su tela Museum of Modern Art (MOMA di New York)

“Broadway Boogie-Woogie” è un quadro dipinto da Mondrian negli ultimi anni della sua vita, quando si trova a New York (1940-1944).

Il quadro è composto da una quantità di quadrati di colore luminoso e brillante, che sembrano quasi luccicare come un mosaico, attirando l’ attenzione del fruitore.

In questo quadro spariscono i rigidi reticoli neri, gli stessi rettangoli dipinti nei quadri precedenti, non sono più incorniciati da una linea nera: ora sono accostati uno all’ altro. Tutto ha lo scopo di riprodurre il frenetico ritmo del ballo del Boogie-Woogie. Quest’ opera trasmette un effetto di allegria, suggerendo l’ atmosfera della città di Broadway, riprendendo il reticolato delle sue strade e lo sfrecciare in esse dei taxi gialli.

Le opere precedenti tendono ad avere un’ austerità quasi scientifica. Questi quadri, invece, sono luminosi, vivaci e riflettono la musica ottimista e allegra della città nella quale vennero prodotti.

Il boogie-woogie è uno stile musicale derivato dal blues per pianoforte. Diventato famoso a partire dagli anni 30 e anni 40, vede le proprie origini in tempi molto precedenti. Successivamente è stato esteso dal piano a formazioni di tre pianoforti, alla chitarra, alle big band, alle formazioni di musica country e western ed a volte a formazioni gospel. Il boogie-woogie come il blues descrive tradizionalmente una grande gamma di emozioni, ed è principalmente legato ad un genere di ballo.

ALBERO ROSSO

P. Mondrian: “Albero Rosso” 1909 olio su tela Gemeentemuseum Den Haag AIA (Paesi Bassi)
«Dietro la mutevole forma naturale c’è sempre l’ immutabile realtà pura»
(Piet Mondrian)

Piet Mondrian, in seguito all’ adesione ad un gruppo spirituale, matura l’ esigenza di far evolvere la sua arte. I critici indicano in “Albero rosso” uno dei primi passi verso la resa essenziale del linguaggio visivo.

PIET MONDRIAN ABBANDONA LA GAMMA CROMATICA NATURALE A FAVORE DI DUE SOLI COLORI

In “Albero rosso”, Piet Mondrian inizia, quindi, la sua opera di sintesi di un linguaggio formale visivo. La sua intenzione era quella di eliminare progressivamente gli elementi del linguaggio tradizionalmente utilizzato in pittura. In questo caso scelse di utilizzare una gamma cromatica limitata. Cielo e terra sono di colore blu declinato dallo scuro al chiaro. L’ albero è disegnato in nero, privo di foglie, e lumeggiato con tonalità di rosso e qualche sfumatura di giallo e arancione. La composizione è essenziale, i rami formano una chioma in perfetta posizione centrale. Si intravede una ideale linea dell’ orizzonte in basso. Il cielo diventa un piano contro il quale si staglia l’ albero. ll tronco e i rami sono costruiti in modo reale. È presente, ancora, una interpretazione emotiva delle forme.

ALBERO GRIGIO

P. Mondrian: “Albero Grigio” 1911 olio su tela Gemeentemuseum Den Haag AIA (Paesi Bassi)

Piet Mondrian, con questo dipinto, fa un passo avanti nella sua ricerca formale. La struttura reale viene sintetizzata in un insieme di linee curve.

ALBERO GRIGIO PROPONE UNA SINTESI FORMALE NEL QUALE SCOMPARE LA FORMA NATURALE DELL’ ALBERO

Piet Mondrian guidato dall’ urgenza spirituale di comprendere la natura attraverso le lenti della nuova religione, propose una “Nuova Forma”. Partendo dalla realtà naturale Mondrian approda, quindi, a una sintesi geometrica. In Albero grigio Mondrian ha già compiuto un passo avanti, molto deciso, verso la costruzione di un linguaggio visivo sintetico ed essenziale.

IN “ALBERO GRIGIO” MONDRIAN RINUNCIA AL COLORE A FAVORE DEL RIGORE DI BIANCO GRIGIO E NERO

 Mondrian eliminò, quindi, gran parte della gamma cromatica dalla tela. Un esempio è Albero rosso nel quale Mondrian utilizzò solamente il blu del fondo, in nero per il disegno e il rosso per l’albero. In albero Grigio non è presente alcun colore. L’ albero, fortemente stilizzato, è costruito con segni neri sui rami. Il tronco in grigio e lo sfondo, prato e cielo in grigio chiaro lumeggiati di bianco.

L’ ALBERO GRIGIO È, ORMAI, UN INSIEME ARMONICO DI LINEE NERE CURVE INTRECCIATE FRA LORO

Dal punto di vista formale Mondrian, semplifica l’ albero, Il tronco è di rami, utilizza linee tracciate in modo netto e sintetico. Le linee non sono apposte con un ordine naturale ma con un ordine compositivo. Rispetto all’ Albero rosso, l’ Albero grigio è raffigurato in una posizione maggiormente centrale nella composizione. La simmetria si fa più evidente e la composizione più astratta. Si evidenziano delle fasce compositive nelle quali la disposizione di queste curve (i rami) sono più fitte e più orizzontali. Le pennellate che costruiscono lo spazio tra i rami sono state apposte dopo aver tratteggiato i rami.

MELO IN FIORE

P. Mondrian: “Melo in fiore” 1912 olio su tela Gemeentemuseum Den Haag AIA (Paesi Bassi)

DALL’ ALBERO AL RETICOLO DI ORTOGONALI PASSANDO ATTRAVERSO UN MELO IN FIORE NON FIGURATIVO

Mondrian ha fondato la rivista De Stijl. Attraverso questa rivista, infatti, venne pubblicato un manifesto che crea un nuovo linguaggio figurativo essenziale, razionale e astratto. Lo stile prevede, così, l’ utilizzo di semplici e pochi elementi del linguaggio visivo. Vi sono, infatti, linee nere verticali e orizzontali incrociate in modo ortogonale. Il fondo è bianco con l’ uso di colori primari, giallo, rosso e blu.

Nessuna sfumatura o chiaroscuro, quindi, solo campiture nette. Le linee dell’ albero sono, infatti, estremamente sintetizzate e non si riconosce alcuna sua parte. Una fascia in basso, presumibilmente, rappresenta la terra e l’ albero, il tronco e i rami laterali. La parte alta del dipinto è quel che rimane del cielo e dei rami che si stagliano contro di esso.

MELO IN FIORE: UN DIPINTO MONOCROMATICO

Del “Melo in fiore” rimangono solo linee curve rette, verticali e orizzontali. Sono linee spezzate che creano forme ovali e una trama ortogonale che si intravede sul fondo. Il colore, poi, si avvicina a un monocromatismo grigio con variazioni di tonalità chiari e scuri. La parte inferiore riceve maggior colore rispetto a quella superiore che si avvicina al colore del fondo del dipinto se pur mantenendo alcuni tratti debolmente colorati. Mondrian, ha ripassato di nero alcune delle linee semplici e dirette del “Melo in fiore”.

SPAZIO

Le linee non rappresentano oggetti o forme inserite all’ interno di uno spazio reale e tridimensionale. Sembra una sintesi portata all’ estremo di una assenza oggettuale. Non si riconosce alcuna forma reale e quindi le forme non sono tridimensionali. Le forme sono distribuite sul piano pittorico e ordinate secondo un ordine compositivo preciso. Questo ordine è dettato dalla forma reale dell’ albero il cui ricordo si ritrova, vagamente, nell’ andamento delle linee curve che sono distribuite in modo orizzontale sulla fascia media.

COMPOSIZIONE

Il dipinto “Melo in fiore” è di forma rettangolare con andamento orizzontale. Mondrian ha organizzato la sua composizione tenendo conto della struttura, reale, dell’ albero di partenza. Le linee orizzontali e verticali creano un reticolo di ortogonali che stabilizza la composizione. Sopra questo reticolo vengono tracciate delle linee curve di varia ampiezza che riproducono l’ andamento dei rami privi di foglie. Le linee curve, incontrandosi, formano un disegno centrale e orizzontale ancorato all’ asse centrale. Questa simmetria deriva dalla forma originaria dell’ albero del quale è rimasto un asse centrale e verticale. Intorno a questa forma si articola la disposizione delle linee in modo simmetrico, a destra e a sinistra a formare una composizione astratta e bilanciata.

Il Futurismo

Il futurismo è un movimento artistico nato nel 1909 in Europa quando Filippo Tommaso Marinetti ha pubblicato il manifesto futurista a Parigi e a Milano. I maggiori esponenti del gruppo sono G. Balla e U. Boccioni. Le parole chiavi legate al movimento sono: dinamismo, velocità, movimento, futuro, progresso, novità. Se un tempo la nozione di bellezza era la staticità e l’ armonia in quel periodo queste parole vengono sostituite da utilità e innovazione. Quindi secondo i futuristi è necessario abbandonare il passato, la tradizione, le regole accademiche. Ogni oggetto è rappresentato in movimento e seguendo varie traiettorie. La continuità è la protagonista della scena. La città futura dei futuristi è una città nuova.

La Città Nuova

Antonio Sant’ Elia “Città Nuova” 1914 disegno matita e penna su carta (Milano)

La progettazione della nuova città industriale parte da una serie di proposte dell’ architetto Sant’ Elia, che così si espresse nel Manifesto dell’ architettura futurista:” Sentiamo di non essere più gli uomini delle cattedrali, dei palazzi, (…..) ma dei grandi alberghi, delle stazioni ferroviarie, delle strade immense, dei porti colossali, dei mercati coperti, delle gallerie luminose,(…..). Noi dobbiamo inventare e rifabbricare la città futurista simile ad un immenso cantiere tumultuante, agile, mobile, dinamico in ogni sua parte. La casa futurista è simile ad una macchina gigantesca. La casa di cemento, di vetro, di ferro….. deve essere sull’ orlo di un abisso tumultuante: la strada si sprofonderà nella terra per parecchi piani, che accoglieranno il traffico metropolitano e saranno congiunti, per i transiti necessari, da passerelle meccaniche e da velocissimi tapis roulants”.

Nelle tavole della Città Nuova eseguite tra la fine del 1913 ed il 1914 gli edifici non sono pensati come elementi a sé stanti, ma sono innestati nel tessuto urbanistico. Nei progetti di Sant’ Elia si libera il sogno dell’ assetto urbano del futuro. Si intuisce la necessità di un nuovo modo di progettare in risposta a nuove esigenze. I progetti dovevano apparire concreti nella loro forma provocatoria. In realtà  Sant’ Elia era conscio della non realizzabilità delle sue proposte. Mancano le piante delle case a gradoni, delle centrali elettriche, delle stazioni. “Da un’architettura così concepita non può nascere nessuna abitudine plastica e lineare, perché i caratteri fondamentali dell’architettura futurista saranno la caducità e la transitorietà. Le cose dureranno meno di noi. Ogni generazione dovrà fabbricarsi la sua città“.

( Dal Manifesto dell’ architettura futurista, 1914 )
 
 

Manifesto Futurista

“Agli artisti giovani d’Italia!”

“Il grido di ribellione che noi lanciamo, associando i nostri ideali a quelli di poeti futuristi, non parte da una chiesuola estetica, ma esprime il violento desiderio che ribolle oggi nelle vene di ogni artista creatore. […] Compagni! noi vi dichiariamo che il trionfante progresso delle scienze ha determinato nell’umanità mutamenti tanto profondi da scavare un abisso fra i docili schiavi del passato e noi liberi, noi sicuri della radiosa magnificenza del futuro. […] Come i nostri antenati trassero materia d’arte dall’atmosfera religiosa che incombeva sulle anime loro, così noi dobbiamo ispirarci ai tangibili miracoli della vita contemporanea, alla ferrea rete di velocità che avvolge la terra, ai transatlantici, alla dreadnought (terrore zero), ai voli meravigliosi che solcano i cieli, alle audacie tenebrose dei navigatori subacquei, alla lotta spasmodica per la conquista dell’ignoto. […]”

Ed ecco le nostre conclusioni: con questa entusiastica adesione al futurismo, noi vogliamo:

1 Distruggere il culto del passato, l’ossessione dell’antico, il pedantismo e il formalismo accademico.

2 Disprezzare profondamente ogni forma d’imitazione .

3 Esaltare ogni forma di originalità, anche se temeraria, anche se violentissima.

4 Trarre coraggio ed orgoglio dalla facile traccia di pazzia con cui si sferzano e si imbavagliano gli innovatori.

5 Considerare i critici d’arte come inutili e dannosi.

6 Ribellarci contro la tirannia delle parole: armonia e buon gusto, espressioni troppo elastiche, con le quali si potrebbe facilmente demolire l’opera di Rembrandt, quella di Goya e quella di Rodin.

7 Spazzare via dal campo ideale dell’arte tutti i motivi, tutti i soggetti già sfruttati.

8 Rendere e magnificare la vita odierna, incessantemente e tumultuosamente trasformata dalla scienza vittoriosa.

Lampada ad Arco

Giacomo Balla: “Lampada ad Arco” 1909 olio su tela Museum of Modern Art New York (MoMa)

Questo dipinto di G. Balla rappresenta un lampione elettrico che illumina la città di notte. In lontananza si vede la luna. I colori puri sono accesi e brillanti, un alone di luce illumina l’ ambiente circostante. La scena è simmetrica. La luce è centrale. G. Balla con questo dipinto intende valorizzare il progresso, infatti la luce artificiale è più utile e forte rispetto alla luce romantica e naturale della luna.

DESCRIZIONE

Una lampada brilla nella notte. Dal vetro che protegge il filamento si sprigiona una intensa luminosità che si propaga radialmente. La lampada è sorretta da una alta struttura metallica e si trova nella parte superiore del dipinto. A destra oltre l’ alone creato dai tratti di colori puri, si intravede una falce di luna. Il colore della luna e quello della lampada ad arco sono gli stessi ma la lampada brilla in modo più intenso. La luce elettrica si frammenta in una serie di colori che coprono in parte la luna ponendola in secondo piano. L’ alone luminoso è circoscritto da una cornice scura simmetrica ma irregolare.

INTERPRETAZIONI E SIMBOLOGIA

L’ utilizzo di un soggetto comune come una lampada elettrica fu una scelta teorica di Giacomo Balla. Era infatti sua intenzione esaltare l’ utilizzo dell’ energia elettrica e dimostrare che vi era della bellezza anche nell’ emissione luminosa di una lampada industriale. Lo stesso artista dichiarò che era sua intenzione dimostrare la superiorità della luce artificiale rispetto alla luce naturale prodotta dal chiaro di luna romantico.

LA STORIA DELL’ OPERA

Sul dipinto è riportata la data dell’ anno 1909. Gli storici però non sono unanimemente concordi sul fatto che si tratti della corretta datazione. Coloro che non considerano reale la data scritta sul dipinto ritengono invece si possa considerare il 1911 come anno di esecuzione. Viene infatti ipotizzato che Balla abbia modificato la data del suo dipinto in occasione della mostra del 1928.

STILE

Giacomo Balla dichiarò di aver perseguito un intento scientifico nel realizzare la tela. Infatti la sua intenzione era quella di creare una scomposizione della luce utilizzando piccoli tratti di colori saturi accostati. La luce viene così rappresentata mediante la scomposizione dei colori che la compongono.

COLORE E LUCE

La superficie brillante che descrive la luce emessa dalla lampada fu ottenuta da Balla grazie all’ accostamento di colori puri. Il dipinto fu infatti realizzato negli anni delle sperimentazioni divisioniste. I colori vennero posti sulla tela senza fusione tra le pennellate. Si osservano così i colori nella loro saturazione originaria. La luna e la lampada sono realizzate con un chiarissimo giallo che si scurisce ai bordi. In centro i colori sono chiari e si identificano gialli e verdi. Man mano che l’ alone si espande infine i colori diventano rossi, arancio e indaco.

SPAZIO

La rappresentazione della lampada che emette il suo alone di luce elettrica è posta in uno spazio privo di riferimenti prospettici. La struttura della lampada è costruita mediante una corretta prospettiva ma nello sfondo è rappresentata la luna che si nota in alto e si intuisce essere alta nel cielo notturno.

COMPOSIZIONE E INQUADRATURA

Lampada ad arco” di Giacomo Balla ha un formato verticale che asseconda la forma della struttura che la sostiene. La composizione è centrale e la superficie del piano pittorico è per la maggior parte occupata dall’ alone luminoso che circonda la lampada. Intorno alla rappresentazione è presente una cornice irregolare e curviforme che circoscrive simmetricamente l’ illuminazione. La simmetria verticale dell’ immagine è creata dalla posizione centrale della lampada  e gli equilibri tra le masse di volume e le masse cromatiche sono determinati da tale simmetria. Solo la falce di luna determina un peso maggiore verso la metà di destra.

La città che sale

Umberto Boccioni: “La città che sale” 1910 olio su tela Museum of Modern Art di New York (MoMA)

Questo dipinto di U. Boccioni rappresenta la crescita di una città in costruzione e da un punto di vista futuro, infatti la scena è molto movimentata e vista con altri occhi. In primo piano una folla in tumulto e due cavalli imbizzarriti, in fondo si intravedono i cantieri industriali, altri cavalli, ciminiere, fabbriche. L’ ottimismo di U. Boccioni si evince dalla presenza di un cavallo bianco simbolo di purezza. La scena è asimmetrica. La luce proviene dall’ alto. I colori caldi si alternano ai colori freddi.

UMBERTO BOCCIONI COMPIE UNA FUSIONE TOTALE TRA SOGGETTO E SPAZIO CIRCOSTANTE

Per raffigurare lo spostamento e la rapidità del movimento i pittori futuristi ricorsero alla fusione fra soggetto e ambiente. Occorreva creare una visione simultanea delle figure e delle loro rappresentazioni nella parabola di movimento nello spazio circostante. Umberto Boccioni nel suo dipinto La città che sale” crea una fusione della figura con lo sfondo attraverso un turbinio di colori e scie cromatiche.

PENNELLATE SEPARATE E COLORE ACCESO ELETTRIZZANO LA CITTÀ CHE SALE DI UMBERTO BOCCIONI

La città che sale è un dipinto che si ispira alla costruzione di una centrale elettrica nella periferia di Milano. In primo piano è rappresentato un cavallo, per quasi tutta la metà destra del dipinto. L’ animale trascina un peso legato a delle briglie. La gente davanti a lui, di fianco e dietro assecondano e incitano il movimento in avanti. Di fronte a questo cavallo si trovano altri due cavalli uno bianco e uno rosso. Un personaggio a sinistra, frena, invece, il cavallo bianco che si trova opposto a quella in primo piano. Sullo sfondo si intravedono altri cavalli che portano avanti i carichi. L’ edificio, ancora in fase di costruzione è circondato dalle impalcature e svetta su tutte le figure.

IL COLORE ACCESO E DINAMICO SOTTOLINEA LA FORZA CROMATICA DEL DIPINTO

Il cavallo di grandi dimensioni, in primo piano, è costruito con pennellate di tonalità rossa e arancio accostate e orientate secondo la forma dell’ animale. La sua criniera sembra una parabola fiammeggiante rivolta verso sinistra. La briglia dell’ animale è, invece, di colore blu elettrico. Gli operai in primo piano, quello centrale e quello di destra, indossano dei giubbotti giallo-arancio e dei pantaloni blu. A sinistra predominano colori più chiari. Il cavallo è bianco con sfumature blu e azzurre, tendenti al viola.

Nel primo piano, sulla strada le ombre sono colorate di blu e azzurro mentre le zone di sole bianco e giallo. Sul fondo si ripetono gli stessi colori blu per le briglie degli animali e rosso acceso, con punte di arancio, e giallo per i cavalli. Anche le costruzioni a destra e a sinistra sono tendenti all’ arancio lumeggiato di giallo. Il cielo è bianco con sprazzi di azzurro e sbuffi di fumo blu violetto che escono dalle ciminiere che punteggiano il cielo.

UNO SPAZIO AFFOLLATO DI ANIMALI E OPERAI CREA LA CONFUSIONE DEL PROGRESSO NELLA CITTÀ CHE SALE

Il progresso industriale, tanto amato dai pittori futuristi è qui rappresentato dalla costruzione della centrale elettrica. Umberto Boccioni con “La città che sale” celebra la crescita industriale della periferia milanese. I tram che passano velocemente, le case in costruzione e, sul fondo, le ciminiere delle fabbriche che producono. In primo piano nulla è fermo. Lo spazio è rappresentato, dal primo piano allo sfondo, dalla sovrapposizione e dalla grandezza, che diminuisce, delle figure rappresentate. Solo la fabbrica in alto a destra suggerisce uno spazio tridimensionale attraverso una leggera prospettiva geometrica. La profondità è rappresentata solamente dalle prospettive di grandezza e di sovrapposizione. I colori rimangono vivi e brillanti anche sul fondo.

PRIMO PIANO E SFONDO SONO FUSI IN UN AMALGAMA UNICA ATTRAVERSO IL COLORE E L’ IMPASTO QUASI MATERICO DELLE PENNELLATE

La superficie del dipinto risulta, quindi, ad una prima osservazione, una confusa amalgama di colori e tratteggi cromatici. Le figure sembrano colori che si aggregano spontaneamente all’ interno di un universo confuso e vorticoso disegni colorati. Dopo un’ attenta osservazione, si comprendono gli indicatori per decifrare le figure e le scene. Le figure quindi, non creano un senso di profondità attraverso la prospettiva aerea che crea la resa atmosferica del dipinto. Le figure del fondo si ribaltano in primo piano, creando, una superficie quasi astratta.

UNA COMPOSIZIONE DINAMICA E DISORIENTANTE PER CREARE MOVIMENTO NELLA CITTÀ CHE SALE

Il dipinto ha uno sviluppo orizzontale. Gran parte del piano compositivo è occupato dal grande cavallo rosso la cui coda lambisce il bordo destro del dipinto. Attraverso una direttrice obliqua, che parte dall’ angolo destro in basso, dall’ uomo che sta spingendo il movimento, sale verso l’ angolo sinistro in alto. Questa linea si sposta dal cavallo rosso a quello bianco fino ad arrivare in alto. Tutto l’ asse centrale è, quindi, obliquo, sottolineato anche dalle briglie blu dell’ animale che vengono trascinate dagli operai in giallo. L’ intera opera si può leggere come una composizione di linee in movimento e assi  visivi più o meno potenti.

Il movimento viene portato avanti, in alto, verso sinistra, dalla marcia dell’ animale, dallo sforzo degli operai dall’ inclinazione dell’ uomo in rosso che trattiene il cavallo bianco. Sullo sfondo le linee di movimento sono opposte. I cavalli procedono verso destra così come anche la prospettiva della centrale elettrica in costruzione. Si forma quindi, uno zig zag di movimento in profondità che parte dall’ angolo destro in basso arriva il cavallo bianco. Viene quindi trasmesso al cavallo rosso imbizzarrito. Da qui si sposta verso destra, verso il cavallo rosso che si muove davanti alla centrale elettrica. Si trasmette, quindi, a questo edificio e proseguire in profondità verso le case dipinte all’ orizzonte, verso sinistra.

Stati d’animo

U. Boccioni: “Stati d’ animo” 1911 olio su tela Museum of Modern Art di New York (MoMA)

Questo quadro di U. Boccioni rappresenta una ferrovia: una locomotiva con il numero 6943 è in grande velocità. La scena è vista da due punti di vista differenti: frontalmente e di profilo. In fondo un traliccio di ferro, ai lati vi sono strade, binari, fiumi. La folla situata lateralmente è divisa dalla locomotiva. U. Boccioni con questo dipinto esprime uno stato d’ animo ossia la tristezza scaturita dall’ addio.

DESCRIZIONE

Il quadro rappresenta delle persone che si salutano, abbracciandosi, sullo sfondo di treni e paesaggi ferroviari. Il quadro è diviso verticalmente in due parti dall’ immagine frontale di una locomotiva a vapore. Nella metà di destra sono visibili diversi vagoni ferroviari, quasi trasparenti e intersecati tra loro, ma di cui sono chiaramente individuabili le linee costruttive di contorno. Nella metà di sinistra appare invece l’ immagine di un traliccio della corrente elettrica e la linea ondulata delle colline. È il tipico paesaggio che si coglie, in genere, dal finestrino di un treno in corsa. Anche il numero, scritto al centro, rimanda ad una immagine ferroviaria: esso è realizzato con gli stessi caratteri che contrassegnano i vagoni ferroviari.

COMPOSIZIONE

Nella parte inferiore del quadro si intravedono diverse sagome di persone che si abbracciano e si salutano. Hanno un aspetto molto stilizzato e sono visti da diverse angolazioni. Sembrano smaterializzarsi nel vapore che fuoriesce dalla caldaia del treno a vapore.

L’ immagine vuole quindi rappresentare la memoria immediata di chi, dopo aver salutato delle persone, inizia un viaggio in treno. Nella sua mente si sovrappongo le immagini del treno, del paesaggio che percepisce in corsa, e il ricordo dei saluti che ha appena scambiato con chi è rimasto nella stazione. L’ intersezione e la sovrapposizione di questi elementi avviene con molto equilibrio, ricorrendo sia alle scomposizioni tipiche del cubismo, sia alla compenetrazione dei corpi teorizzata dal futurismo.

COLORI

Il quadro è raccordato dalla dominante verde, utilizzata in varie gamme, ma sempre su toni spenti. In questo caso il verde ha un valore tipicamente espressionistico: materializza lo stato d’animo sobrio di chi ha appena intrapreso un viaggio con la sensazione del distacco da persone care. In questo verde Boccioni inserisce il complementare rosso, sempre su tonalità spente, secondo linee ondulate che sembrano materializzare il senso di ondeggiamento del treno in movimento che dà forma ondulata alla percezione della realtà circostante.

Il quadro riesce pienamente nel suo intento di dare immagine a qualcosa di assolutamente immateriale come uno stato d’ animo.

Stati d’animo: “Quelli che vanno”

U. Boccioni: “Quelli che vanno” 1912 olio su tela Museum of Modern Art di New York (MoMA)

Questa opera d’arte di U. Boccioni è la continuazione del dipinto precedente. Infatti rappresenta le persone che se ne vanno, ossia le persone all’ interno della locomotiva. A differenza del primo dipinto che raffigura dei paesaggi di campagna con varie tonalità di verde, questo quadro utilizza prevalentemente tonalità blu. L’ espressione dei volti è esasperata poichè la corsa verso il futuro è un’ incognita. I colori sono in prevalenza freddi. La luce laterale proviene da sinistra. La scena presenta linee orizzontali ed oblique.

BERGSON E IL FUTURISMO

Questo dipinto sottolinea la velocità del tempo valorizzando le emozioni. Henry Bergson è protagonista di questa temperie culturale, a partire dalla sua prima opera, dedicata allo studio del “tempo”. A partire da Aristotele, la società occidentale è stata abituata a identificare e concepire il tempo come una successione di punti-attimo, tutti uguali qualitativamente e rappresentabili graficamente. Insomma, il tempo è stato concepito sin dalle origini come tempo meccanico, scientifico, astratto. Per Bergson si tratta di una concezione sbagliata in quanto in tal modo il tempo viene proiettato in una dimensione spaziale che non gli appartiene. Ben diverso invece è quel che il filosofo chiama “tempo della vita”, composto da istanti tutti differenti anche dal punto di vista qualitativo, da momenti irripetibili che si compenetrano e si sommano tra di loro incessantemente. Questo è il tempo reale, paragonabile – scrive Bergson – ad una valanga che muta di continuo e cresce su se stesso ad ogni istante. In questa ottica cade il rapporto tra spazio e tempo. Nessuno spazio può contenere un magma in continua mutazione, che si accresce continuamente.

PASSATO E FUTURO

Bergson crede che l’ unico tempo sia proprio quello della vita o meglio della coscienza. Gli esempi in tal senso possono essere sterminati. Pensiamo solamente a chi ha avuto un incidente grave: l’ istante in cui si è trovato in bilico tra la vita e la morte sarà durato una eternità, mentre per la scienza non più di un secondo. Quella esperienza, durata anche solo un attimo, rimarrà impressa nella sua memoria per sempre. Un’ esperienza, infine, che non potrà essere rappresentata graficamente. Lo stesso attimo, fosse anche una frazione di secondo, presenterà momenti di coinvolgimento “interiore” differenti. Lo scorrere del tempo della vita per Bergson raccoglie sempre quanto è già accaduto. Tuttavia centrale non è affatto il passato, bensì il futuro e questo perché ogni momento, ogni istante è come se si “sforzasse” di entrare in quello successivo. Dunque il passato “spinge” sempre verso il futuro, non arrestandosi mai. Non esiste alcun determinismo temporale: il tempo è libero, spontaneo.

L’ EVOLUZIONE CREATRICE

Il concetto di “spontaneità” rimanda ad un altro importante scritto di Bergson: “L’ evoluzione creatrice”. Tutta la realtà, nulla escluso, è frutto di uno “slancio”, creativo e spontaneo, che sfugge ad ogni determinabilità e dunque ad ogni possibile previsione (e quindi alla scienza). Partito dal tempo, dunque, Bergson tende ad abbracciare il mondo intero con la sua teoria della spontaneità e del dinamismo. Nella natura vi è un unico slancio di vita, che di fronte alla materia, in maniera del tutto imprevedibile, ora si ferma, ora procede spedito, ora si divide, ora si riunisce. Una teoria evoluzionistica è esemplificata da Bergson con il ricorso alla nota immagine dei fuochi d’ artificio. Lo slancio è uno di questi fuochi, che sale verso l’ alto per poi esaurire la propria spinta, ricadendo quindi al suolo. E tuttavia ad esaurirsi non è tale slancio, che risulta infinito, bensì i singoli frammenti che si spengono e che nel momento in cui si esaurisce la forza vengono tenuti ancora su per qualche tempo dal flusso che continua a giungere dal basso. Ed è proprio l’istante in cui le scintille sono tenute in aria a rappresentare la vita dei singoli individui. La vita è un flusso continuo, impossibile da fissare e rinchiudere entro le leggi universali, sfuggendo in tal modo alla scienza tradizionale.